Archivio per agosto 2021

La casa bancomat dello Stato – La riforma del catasto – Articolo su QN Il Giorno del 28 agosto 2021 di Achille Colombo Clerici

agosto 30, 2021

La casa bancomat dello Stato.

La vicenda ebbe inizio nel 1992 quando il Governo di Giuliano Amato introdusse, con la “Finanziaria lacrime e sangue”, l’Isi, imposta straordinaria sugli immobili di natura patrimoniale. Ebbe a ripetersi anche nel 2011 quando, con lo spread ad oltre 500 punti e alla soglia dell’uscita dell’Italia dall’euro, venne reintrodotta l’Imu, la patrimoniale sulle abitazioni occupate a titolo di proprietà. L’Isi in quel lasso di tempo aveva cambiato nome: in Ici, poi in Imu e infine in Tasi.   In dieci anni le tasse sulla casa sono costate ai proprietari dai 400 ai 500 miliardi di euro.

Oggi, con il debito pubblico monstre pari a circa il 160% del Pil (record storico dall’Unità d’Italia) lo Stato è all’affannosa ricerca di risorse per colmare, almeno in parte, la voragine. Ma anziché rivolgere la propria attenzione all’evasione fiscale – circa 110 miliardi di euro ogni anno con l’Italia in cima alla lista mondiale dei Paesi dall’economia più sviluppata – ed alla crescita economica, che ovviamente si trascina dietro un costante incremento di risorse fiscali, lo Stato tira nuovamente fuori dal cilindro, anche per l’insistenza dell’Unione Europea, la riforma del Catasto. Che, realizzata nei termini che conosciamo, si risolverebbe in un disastro per la proprietà immobiliare.

 Il Catasto ha una lunga storia. Nacque con l’Unità d’Italia, ma con una differenza fondamentale rispetto ad oggi. Allora si trattava di un ‘catasto reddituale’, cioè basato sulla capacità dell’immobile di produrre reddito, e fondato sui criteri delle cosiddette rendite catastali che ne misuravano la funzionalità. Ma da più di vent’anni il Catasto misura, attraverso l’applicazione alle rendite di coefficienti moltiplicatori, il valore immobiliare. Si è trasformato in tal modo in un vero e proprio strumento di tassazione patrimoniale.

 Anni fa si avviò la riforma del Catasto, sempre su base patrimoniale (le rendite venivano sostituite dai valori di mercato per metro quadro): l’intento dichiarato quello di eliminare errori e sperequazioni.  La reazione dell’economia immobiliare fece capire quali negativi effetti il ‘nuovo’ Catasto avrebbe avuto da un punto di vista, sia economico, sia politico-elettorale.

Ora, una cosa è emendare errori ed evitare sperequazioni, ed altra è fare un salto nel buio con una riforma avventata dagli effetti irrevocabili potenzialmente nefasti per l’economia, quale sarebbe quella che ha in mente il Fisco italiano.

Si deve comunque riflettere sul fatto che il catasto basato sui valori di mercato privilegia la finalità fiscale nei suoi aspetti espropriativi, mentre quello reddituale premia la redditualità e quindi favorisce il rinnovamento strutturale e funzionale degli immobili.

Il catasto, dunque, come strumento di crescita e non di freno economico.

“Cultura, l’Italia fa tendenza” Italian way of life – Articolo su QN Il Giorno del 21 agosto 2021 – di Achille Colombo Clerici

agosto 30, 2021

L’Italia conserva il primato mondiale Unesco per il maggior numero di siti Patrimonio dell’umanità: 57, tallonata dalla Cina con 56 siti. Insieme ai 14 iscritti nella lista rappresentativa del patrimonio immateriale dell’umanità, diventano così 71 i riconoscimenti Unesco in Italia. Seguono, a distanza, Francia, Germania e Spagna, decimi gli Stati Uniti. Lo ha stabilitola 44esima sessione del Comitato per il patrimonio mondiale dell’Unesco che si è conclusa a Fuzhou, capoluogo della provincia del Fujian in Cina orientale, con un totale di 34 nuovi siti iscritti nella lista. Le iscrizioni dell’attuale sessione portano il numero totale di siti del patrimonio dell’umanità a 1.154.

I riconoscimenti a Italia e Cina sono più che giustificati dal fatto di essere i due Paesi eredi delle più antiche civiltà. Ma, se guardiamo all’oggi, il paragone è improponibile.

Confermando – se ce ne fosse bisogno – che progresso scientifico e tecnologico non è sinonimo di cultura e di civiltà, la piccola Italia è trendsetter nel mondo. Più fonti, da The Spectator Index a US News, ci pongono al primo posto per influenza culturale, “alta” o “bassa” che sia.

Per “cultura alta” si intende quella del sapere colto, specialistica, scientifica, artistica, letteraria. Quella che si apprende in luoghi preposti alla sua diffusione (scuole, accademie, istituti). Per “cultura bassa” si intendono i valori, le pratiche quotidiane, le tradizioni, le consuetudini tipiche di un’identità collettiva apprese, spesso in maniera inconsapevole, a contatto con la vita di ogni giorno. Noi eccelliamo in entrambe: abbiamo esportato ovunque il sapere più colto ma anche quello più popolare. Quello del modo di vivere.

La nostra cultura incarna una raffinatezza culturale che si esprime nell’eleganza intellettuale e comportamentale, nella moda, nell’arte culinaria, nello stile di vita.  L’Italia è la meta più sognata al mondo e l’italiano è la lingua madre di soltanto 60 milioni di persone (lo spagnolo è la lingua di mezzo miliardo di individui, per non citare l’inglese e il mandarino) ma è la quarta studiata nelle università all’estero. Alcuni linguisti sostengono che la lingua italiana è la seconda più in vista al mondo, perché la troviamo nei menù, nelle insegne, nei cognomi, in tutto il fenomeno dell’Italian sounding, consistente nell’uso di immagini, di combinazioni semantiche e cromatiche, di riferimenti geografici, di marchi che evocano l’idea dell’Italia per promuovere e commercializzare prodotti che in realtà non sono italiani. 

“Innovare, ma con saggezza” articolo su QN Il Giorno del 14 agosto 2021 di Achille Colombo Clerici

agosto 30, 2021

E’ proprio vero che gli italiani lavorano poco a fronte dei colleghi europei? Sì, afferma Eurostat, mettendo a confronto le ore settimanali dei soli dipendenti full time – escludendo quindi i lavoratori part-time e i liberi professionisti – che ci pongono al 19° posto della classifica su 20 Paesi presi in rassegna (ultima la Danimarca) con 38,8 ore.

Ma, analizzando i dati, la realtà è più articolata. Poniamo a confronto le altre due grandi economie europee, Germania e Francia: nel settore produttivo gli italiani lavorano 40,4 ore alla settimana, i tedeschi 40,2 ore, i francesi 38,9. Nella pubblica amministrazione i rapporti si capovolgono: i francesi lavorano 39,3 ore alla settimana, i tedeschi 37,3, gli italiani 37,2. Senza valutare la qualità dei servizi offerti, a far precipitare la media italiana è quindi la Pubblica Amministrazione. Accusato numero uno il settore dell’educazione. Il divario appare enorme: di circa 10 ore, 29,4 contro 38,5. Più ridotto, di due ore, nella sanità e nei servizi.

Considerando che l’ossatura dell’economia nazionale è costituita dalle piccole e medie imprese sembra evidenziarsi che la maggiore applicazione   dei lavoratori derivi anche dal rapporto meno spersonalizzato tra responsabili aziendali e lavoratori, che permette di mantenere nelle relazioni interpersonali un’atmosfera nella quale ognuno si sente impegnato a dare il meglio di se stesso.

Considerazione opposta per la P.A. dove prevalgono la cultura burocratica, la deresponsabilizzazione, il rigetto della meritocrazia.  E a fronte di questa realtà c’è chi vorrebbe istituzionalizzare lo smart working!

Vorrei segnalare, al proposito che la macchina amministrativa in moltissimi comuni non funziona più in modo regolare, proprio a causa delle modalità di lavoro suggerite dall’emergenza sanitaria che stiamo vivendo (con moltissimi funzionari dei comuni che praticano lo smart working); con ciò causando lo stallo di migliaia di compravendite immobiliari e ingenti danni all’economia nazionale.

Questa situazione non consente alle parti interessate quell’ “accesso agli atti” senza il quale le stesse non possono sensatamente ottemperare agli obblighi di legge in termini di dichiarazioni in sede di rogito.

Moltissime compravendite immobiliari, già perfezionate tra le parti nei loro contenuti sostanziali, sono dunque sospese a causa della impossibilità di verificare, sulla base degli atti comunali, la legittimità degli immobili compravenduti, che pure il venditore è tenuto a dichiarare e garantire.

Una questione assai grave per la vita sociale ed economica del Paese, che apre una riflessione: smart working per i funzionari pubblici, digitalizzazione della P.A. e cyber security sono tre campi che, se non gestiti con saggezza, rischiano di formare un cocktail di situazioni micidiale, in grado di arrecare gravissimi danni al Paese, impedendo anche i benefici effetti del PNRR.

Questo piano, infatti, riconosce alla P.A. il ruolo di architrave della ripresa del Paese e della crescita economica. Abbiamo il dovere, dunque, di rendere la P.A. funzionale e attrattiva per i giovani e per i migliori talenti.

“Disfunzione dei Comuni e stallo delle compravendite immobiliari” – ASSOEDILIZIA 1894 – Osservatorio economico/sociale al servizio dei cittadini

agosto 30, 2021

La macchina amministrativa in moltissimi comuni non funziona più in modo regolare, causando lo stallo delle compravendite immobiliari. Migliaia di compravendite bloccate e ingenti danni all’economia nazionale.

I nostri “sensori” presenti nella società civile – afferma il presidente di Assoedilizia Achille Colombo Clerici – ci avevano indotti a porre in generale il tema della “Cyber Security”, fondamentale per la vita del Paese, con un intervento apparso sulla stampa parecchi giorni prima che scoppiasse il caso della Regione Lazio e che i mass media si occupassero in misura adeguata del problema della pirateria informatica.

 Oggi, a seguito di una denuncia di Assoedilizia, il Sole 24 Ore solleva la questione dello stallo delle compravendite immobiliari (in particolare di vecchi immobili che non sono stati oggetto di recenti interventi edilizi) causato dalla inefficienza di molti Comuni italiani che non sono in grado – per le modalità di svolgimento del lavoro, in tempo di pandemia, da parte dei funzionari – di consentire agli interessati quell’ “accesso agli atti” senza il quale gli stessi non possono sensatamente ottemperare agli obblighi di legge in termini di dichiarazioni in sede di rogito.

Moltissime compravendite immobiliari, già perfezionate tra le parti nei loro contenuti sostanziali, sono sospese a causa della impossibilità di verificare, sulla base degli atti comunali, la legittimità degli immobili compravenduti, che pure il venditore è tenuto a dichiarare e garantire.

In moltissimi casi il venditore, non riuscendo ad ottenere l’accesso agli atti comunali (si stanno verificando casi di mesi e mesi di ritardo) è costretto non dar corso al rogito per non incorrere in gravi conseguenze. E il nostro ordinamento non contempla efficaci rimedi a questa disfunzione.

Una questione assai grave per la vita sociale ed economica del Paese, che apre una riflessione: smart working per i funzionari pubblici, digitalizzazione della P.A. e cyber security sono tre campi che, se non gestiti con saggezza, rischiano di formare un cocktail di situazioni micidiale, in grado di arrecare gravissimi danni al Paese, impedendo anche i benefici effetti del PNRR.

“Pressione fiscale da allentare sulle famiglie” Articolo su QN Il Giorno del 7 agosto 2021 di Achille Colombo Clerici

agosto 30, 2021

Nel 2020, segnato da una forte contrazione dell’economia per la pandemia, sono risultate in condizione di povertà assoluta oltre due milioni di famiglie (7,7% del totale in crescita dal 6,4% del 2019, quando erano 1,7 milioni), per complessivi 5,6 milioni di persone (il 9,4% dal 7,7%). Il dato è comunicato dall’Istat che rileva come, dopo il miglioramento del 2019, nell’anno dell’esplosione del Covid la povertà assoluta sia aumentata raggiungendo il livello più elevato dal 2005, inizio delle serie storiche. Secondo l’istituto di statistica il 47% dei poveri risiede al Nord contro il 38,6% del Mezzogiorno. Ma quasi tutte le famiglie del cosiddetto ceto medio hanno visto contrarsi la capacità di spesa.  

Per contro, il fisco non ha avuto un occhio di riguardo.  Non è una novità che il fisco tenga le famiglie “sotto pressione”:   rielaborando i dati Istat sulle singole imposte, che comprendono anche il gettito Imu/Tasi oltre a quello relativo alle imposte sul reddito e sul capitale e ai contributi sociali, il gettito fiscale proveniente dalle famiglie, senza considerare le imposte sui consumi e le altre imposte sui prodotti, è stato pari nel 2019 – ultimi dati a disposizione, ulteriormente aggravati dalla pandemia – a 323 miliardi di euro rispetto ai 758,6 miliardi di entrate fiscali complessive.

Rispetto al 2011 la pressione fiscale sulle famiglie è cresciuta di 1,9 punti, mentre quella complessiva è cresciuta di soli 1,1 punti. In pratica, lo choc fiscale è stato quasi interamente sostenuto dalle famiglie.

Il 50% della pressione fiscale che grava su di esse è imputabile all’Irpef (più 11,7 miliardi) e all’Imu, mentre il gettito erariale dell’Iva si è incrementato di soli 1,2 miliardi. Ciò rende evidente che a sostenere le necessità dello Stato sono, in misura sproporzionata, proprio le famiglie; mentre sono state “sostenute” prevalentemente le imprese.  

In sintesi, due storture fiscali incombono sui bilanci delle famiglie: il fiscal drag e la pressione fiscale generale.

Sulla prima questione: il carico fiscale è determinato dalle aliquote progressive ed è commisurato al valore nominale e non al valore reale del denaro, che significa capacità di acquisto. Per vivere occorrono sempre più soldi e bisogna guadagnarli. Quindi, a parità di tenore di vita, pagare sempre maggiori imposte.

Poi c’è il discorso della pressione fiscale (imposte più oneri sociali in rapporto al Pil) che già è in continua crescita nei dati ufficiali Istat, riferiti alla pressione virtuale, cioè computata su un Pil aumentato di una somma pari al 12% del Pil reale, (perché si tiene conto dell’economia in nero, in Italia maggiore rispetto ad altre parti d’Europa). Siamo dunque al paradosso per cui, maggiore è il sommerso e minore è la pressione fiscale virtuale: quella reale raggiunge il 48,2% del Pil.

Se poi consideriamo – secondo i dati Ambrosetti – la pressione fiscale complessiva (imprese, lavoro, famiglie) quella italiana è senz’altro la più alta d’Europa, con il 64,8% del Pil, contro il 62,7 della Francia, il 58,4 del Belgio, il 50 della Spagna, e il 48,8 della Germania.

Monopattini elettrici, sostegno alla proposta dell’ACI – Assoedilizia insiste per la targhetta di identificazione sulle bici

agosto 6, 2021

Colombo Clerici (Assoedilizia) sostiene la proposta Aci sui monopattini elettrici. E ricorda.

 E’ LA CONSEGUENZA INEVITABILE DEL NON AVERE REGOLAMENTATO A SUO TEMPO  LE BICICLETTE 

di Benito Sicchiero

Omologazione per la produzione, regole omogenee, una targhetta di riconoscimento, obbligo del casco, formazione e obbligo d’assicurazione per quelli più potenti. Così, secondo l’agenzia di informazione ANSA, il presidente dell’Automobile club d’Italia (Aci) Angelo Sticchi Damiani in audizione in commissione Trasporti alla Camera, nell’ambito dell’esame della proposta di legge dedicata alla circolazione dei monopattini elettrici, espone alcune proposte per il testo del provvedimento.

La prima è quella di “dotare tutti i monopattini di un regime di omologazione” per chi “costruisce monopattini. La logica conseguenza è l’introduzione di una targhetta di identificazione da concordare con il ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili”. Inoltre Sticchi propone “l’obbligo dell’uso del casco per tutti, e l’obbligo d’assicurazione sulla responsabilità civile verso terzi, assolutamente necessaria se il monopattino va oltre 25 km all’ora, cioè quelli con una potenza nominale superiore a 350 watt. Ma sarebbe eccezionale se ci fosse per tutti”. C’è poi il “tema importante della formazione, anche perché il rischio maggiore è che il conduttore faccia male ai pedoni. Noi dobbiamo garantirli. Il corso si può fare nelle scuole secondarie, nelle università e nelle scuole guida (dove servirebbe un modulo dedicato) con il rilascio di una specie di patentino”. Infine “il divieto di sosta sui marciapiedi; servono zone di rilascio che non siano ingombranti per i pedoni”.  

Proposte che il presidente di Assoedilizia Achille Colombo Clerici apprezza e sostiene. E che andrebbero estese anche alle bici elettriche; la misura andrebbe anche accompagnata dall’introduzione di una targhetta di identificazione per le normali biciclette (la sua semplice presenza avrebbe un “effetto deterrente” notevolissimo) anch’esse in grado di superare abbondantemente i 25 km. di velocità.

A tal proposito Colombo Clerici ricorda che l’Associazione dei proprietari immobiliari, da sempre attenta al vivere civile, diversi anni or sono aveva lanciato una campagna contro il cattivo uso delle biciclette: pur sottolineando l’utilità di questo mezzo ecologico e salutare per spostarsi in città, aveva stigmatizzato  il comportamento di una minoranza di ciclisti incivili che sfrecciavano sui marciapiedi, contravvenivano alle più elementari regole della circolazione stradale (passaggio con il semaforo rosso, circolazione contromano, zigzagare a tutta velocità tra i pedoni sui marciapiedi e nelle zone pedonali e quant’altro), causando incidenti con conseguenze anche mortali; contando sull’impunità garantita dall’assenza di ogni tipo di identificazione (targa) che ogni  veicolo circolante su suolo pubblico dovrebbe avere.

Apriti cielo! Gruppi di scalmanati organizzati, occupando vie e piazze e manifestando davanti al Comune, avevano bloccato sul nascere ogni possibilità di discussione. Il lassismo di certa politica e il timore di perdere consensi elettorali hanno fatto sì che il fenomeno si estendesse prima al settore delle bici elettriche, oggi a quello dei monopattini (più pericolosi a causa della ridotta dimensione delle rotelline).  Cosa dovrà accadere prima che si scrivano alcune regole? Ricordando ai talebani del “liberi tutti” che il sacrosanto valore della libertà va difeso fino a quando non lede la libertà (che comprende anche la sicurezza) degli altri.

“Cyber security fondamentale per la vita del Paese” – Articolo su QN Il Giorno del 31 luglio 2021, di Achille Colombo Clerici

agosto 2, 2021

Gli attacchi informatici ad istituzioni, imprese, singoli cittadini costano all’Italia circa 7 miliardi di euro a fronte di un giro d’affari in sicurezza di circa 1,3 miliardi.  La spesa in cyber security è ancora limitata in rapporto al Pil, con un’incidenza dello 0,07% nel 2019, circa 4-5 volte in meno rispetto ai Paesi più avanzati. E teniamo ben presente che il 95% del tessuto produttivo nazionale è costituito da piccole e medie imprese, la cui grande maggioranza non dispone di un sistema di sicurezza informatica all’altezza dell’occorrenza, spesso proprio per problemi di budget.

L’ambiente cibernetico è diventato il sistema nervoso dei Paesi informatizzati in quanto collega tra loro le dimensioni politico-strategica, militare, economico-finanziaria, commerciale, industriale, infrastrutturale e sociale.

Secondo il Rapporto Clusit 2021, a livello globale il 2020, l’anno della pandemia, ha registrato un aumento degli attacchi cibernetici nella misura del 12% rispetto al 2019 e del 66% rispetto alla media dei quattro anni precedenti. In particolare, i cyber criminali hanno sfruttato la situazione di disagio collettivo, nonché di estrema difficoltà vissuta da alcuni settori – come quello della produzione dei presidi di sicurezza (ad esempio, delle mascherine) e della ricerca sanitaria – per colpire. Diverse operazioni di spionaggio sono state compiute a danno di organizzazioni di ricerca correlate con lo sviluppo dei vaccini.

Molto bisogna fare, partendo dallo sviluppo di tecnologia di proprietà italiana, per non essere dipendenti da tecnologie e know how stranieri, ma soprattutto investendo sulle persone, formandole ad affrontare i rischi informatici a tutti i livelli.

In questa direzione muove la proposta avanzata dal sottosegretario alla Difesa, Giorgio Mulè,  di istituire un’agenzia nazionale “votata” alla sicurezza cibernetica e un centro di alta formazione, una Cyber Defence Academy, in cui le esperienze maturate nel comparto della Difesa si coniughino con le competenze della pubblica amministrazione e delle imprese private; che sono ben disposte a fare la loro parte, ma invocano una semplificazione nella materia, che riduca al minimo la stratificazione di documenti e la sovrapposizione di organizzazioni. Il mondo dei cyber attacchi si espande in modo geometrico: dobbiamo essere in grado di mantenere il passo. Almeno.